Itinerario ciclabile dell’ex strada ferrata
Lunghezza del percorso: 7,76 km
Difficoltà: Facile con un’unica breve salita più pesante
da affrontare senza ammazzarsi.
Giungo a Misilmeri cercando di ritrovare il punto di vista
del macchinista che partito da Palermo risaliva con la sua automotrice RALn 60
a gasolio fino alle stazioni di Corleone e San Carlo, ovvero fin nel cuore più
profondo dell’entroterra siciliano.
Ritrovare oggi qui il paesaggio di binari, massicciate,
caselli, che fino al 1959 ha caratterizzato questi luoghi, è complesso, ci devo
fare l’occhio, come quando dalla luce passiamo ad un ambiente buio e all’inizio
non vediamo nulla. Mi muovo su una stradella che si solleva un paio di metri
rispetto alla strada statale che alla mia sinistra entra in paese e ritrovo il
primo “reperto”: mascherato da “Villino” c’è un casello ferroviario che ancora
saluta chi si addentra in paese.
Fino agli anni ’50 l’abitato era molto distante da qui e la
strada ferrata segnava un limite lontano tra il paese e il fiume che scorre più
a valle. Oggi case su case hanno mangiato le distanze, corrotto l’orografia, ma
ci metto poco a ritrovare il vecchio tracciato che oggi si muove tra lo
sconquasso urbanistico di edifici iniziati e mai finiti, di strade che non
portano da nessuna parte, di abusivismo e sogni interrotti.
Ho davanti a me un percorso pianeggiante fatto di curve
perfettamente disegnate. Anche se il treno non è più tra noi la strada che lo
ospitava è ancora qui e ci parla delle sue esigenze tecniche, pendenze costanti
e curve larghe. Mentre vado verso sud sono alcuni allineamenti di pini e
cipressi a raccontarmi che la strada è quella giusta e, proprio all’inizio, un
cartello in cemento con scolpita la scritta “Attenti al treno” accompagnata da
un teschio, a rendere più chiaro il messaggio e mi dice “vai avanti!”.
Da Misilmeri passavano i treni che partiti dalla piccola
stazione di Sant’Erasmo percorrevano tutta la costa sud di Palermo, allora
luogo incontaminato di delizie e meta dei bagnanti palermitani della belle
epoque. I bombardamenti della seconda
guerra mondiale, il sacco mafioso di Palermo, l’inquinamento e la dismissione
della strada ferrata hanno segnato il destino di rovina di quei luoghi della
costa e cancellato del tutto la memoria del treno.
Ad Acqua dei Corsari i treni giravano a sud, cominciando la
loro lunga risalita verso la stazione di San Carlo, appena oltre Corleone, che
avrebbero raggiunto dopo 112 chilometri di marcia.
Continuo la mia passeggiata tra le case e i recinti che
hanno occupato spazi che prima era del treno (leggi “dello Stato”) e mi trovo
davanti ad un muro. Qui, dove oggi c’è la caserma dei carabinieri cominciava
l’area della stazione di Misilmeri, immortalata in una famosa cartolina e nelle
parole del romanzo “Silvinia” di Giuseppe Bonaviri. Mi rassegno e giro attorno
alla caserma per rientrare sul percorso del treno appena oltre, dove un mercato
ortofrutticolo in dismissione segue l’antico tracciato.
Mi accorgo che i pali dei recinti dei terreni che attraverso
hanno tutti una forma strana e sempre uguale: ho appena ritrovato le traversine
in legno della strada ferrata, che stanno ancora qui, conficcate in verticale
da 50 anni, con ancora evidenti la doppia serie di fori che serviva a fissare i
binari in ferro.
Affronto una piccola salita e l’abitato si dirada abbastanza
da farmi leggere meglio la strada ferrata.
Sono ai margini del paese, in via Madonna del Carmelo, e
purtroppo da qui in poi il vecchio tracciato è negato per centinaia e centinaia
di metri da cancelli e recinti privati ma prima di abbandonare il vecchio
percorso mi fermo sul piccolo ponte ad unica campata che consentiva al treno di
scavalcare il fiume Landro, affluente dell’Eleuterio. Attorno a me una piccola
valle profumata di mandarini e nespole che mi invita ad una piccola sosta e a
guardarmi attorno.
Sono costretto a deviare verso la statale 121 che porta a
Bolognetta e ad affrontare una pesante salita che mi fa arrivare in cima senza
più fiato. Alla mia sinistra, più in basso, il tracciato ferroviario è stato
parcellizzato, tagliato e in parte anche cancellato.
Alla prima trazzera disponibile devio a sinistra e scendo
giù, fino a ritrovare la strada ferrata e delle pendenze più a misura di treno
e di ciclista.
Qui i racconti di chi il treno ha fatto in tempo a vederlo
(tutto è stato dismesso nel 1959) mi parlano di un connubio perfetto tra
agricoltura e treno, di merci trasportate e di macchinisti che rallentavano la
loro corsa apposta per caricare alcune ceste di ottima uva locale direttamente
dalle mani dei braccianti vicino le contrade di Don Cola e Masseria d’Amari.
Sono di nuovo sulla strada giusta, ormai sento il vento che
fischia, acquisto velocità, sono una locomotrice FS R.301 che corre verso la
valle, sento quasi l’odore del carbone che brucia nella caldaia, attorno a me
si susseguono le traversine in verticale che come tanti dolmen segnano un
percorso sacro, quello di una mobilità pensata per tutti, che univa la costa e
le montagne e che l’avvento della maledetta automobile privata ha cancellato.
Arrivo al “monumento” per eccellenza: il ponte dei
“murtiddi”, un’imponente costruzione in pietra e mattoni che con le sue 13
arcate permetteva al treno di scavalcare il fiume Eleuterio e di proseguire
sulla sponda opposta della vallata. Da qui, credo per ragioni di sicurezza, la
strada per percorrere il ponte è sbarrata, forse in attesa di tempi più civili
di questi, in cui una vera pista ciclabile percorrerà la vecchia ferrovia
dismessa di Misilmeri, così come è successo più avanti, nel tratto di strada
ferrata da Godrano verso Corleone.
Il sogno della ferrovia a scartamento ridotto era quello di
collegare Palermo con l’entroterra più profondo, e da lì di ritrovare i
territori del vino di Castelvetrano e guardare un’altra costa e un altro mare.
Nella Sicilia di oggi, la capitolazione dei mezzi pubblici
in favore dell’auto privata ha portato paradossalmente all’impossibilità del
collegamento, alla cesura dei territori e della loro storia.
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